BIO | BARTOCCI Claudio

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Insegna Fisica matematica e Storia della matematica presso l’Università di Genova. I suoi principali interessi di ricerca si concentrano sui seguenti argomenti: geometria e fisica matematica, storia della matematica nei secoli XIX e XX; aspetti filosofici della relazione tra geometria e fisica, connessioni tra matematica e letteratura nel secolo XX. I suoi libri più recenti sono Dimostrare l’impossibile (2014), Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il nulla (con Piero Martin e Andrea Tagliapietra, 2016).

Al Festival 2017 il suo intervento è stato:
La tela di Penelope. Come le idee scientifiche si diffondono e talvolta muoiono
Le idee scientifiche, fin dall’antichità più remota, hanno sempre viaggiato attraverso il tempo e lo spazio, superando barriere geografiche, culturali e linguistiche e, durante il percorso, passando attraverso profonde trasformazioni. Questo laborioso processo di sviluppo, in quanto non lineare e non cumulativo, si potrebbe paragonare, più che all’ordinata costruzione di un tempio, alla tessitura della proverbiale tela di Penelope. Le scienze nel loro multiforme complesso costituiscono, dunque, una rete di connessioni, le cui dinamiche di cambiamento – negli ultimi decenni – sono state accelerate e amplificate dalle modalità di interazione rese possibili da un’altra “rete”: il web. Eppure, paradossalmente, proprio questa connettività ipertrofica, sfuggendo ai meccanismi di controllo della verifica empirica e dell’esame critico, sembra oggi mettere a repentaglio la sopravvivenza di un sapere scientifico che ambisce a essere condiviso da tutti e non soltanto appannaggio di ristrette conventicole di specialisti.
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Al Festival 2016 il suo intervento è stato:
Le nuove forme della ricerca: come il web ha cambiato il modo di fare scienza
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Al Festival 2015 il suo intervento è stato:
Inventare analogie tra analogie: creatività e pensiero matematico
La matematica, secondo una lapidaria definizione di Henri Poincaré, sarebbe «l’arte di dare lo stesso nome a cose diverse». Dimentichiamo i polverosi ammaestramenti che ci hanno inflitto i libri di scuola: la matematica focalizza la propria straordinaria forza di invenzione non sugli oggetti, ma sulle relazioni tra gli oggetti, disegnando un vertiginoso intreccio di connessioni che si ridefiniscono le une con le altre, una rete fittissima di analogie tra analogie suscettibile di essere esplorata come un territorio in perenne mutamento. I grandi maestri di questa disciplina – da Euclide a Poincaré, da Archimede a Grothendieck – sono da considerare non tanto come implacabili raziocinatori, quanto piuttosto come viaggiatori dell’immaginazione, esploratori di universi paralleli, talvolta addirittura svagati flâneurs che cedono, irresistibilmente, alle lusinghe descritte da Proust: “all’improvviso un tetto, un riflesso di sole su una pietra, l’odore d’una strada mi facevano sostare per uno speciale piacere che ne traevo e anche perché sembravano nascondere, dietro ciò che vedevo, qualcosa che mi invitavano ad andare a prendere e che io, malgrado i miei sforzi, non riuscivo a scoprire”.